A norma dell’art. 163 del codice penale, il Giudice nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all'arresto per un tempo non superiore a due anni può ordinare che l'esecuzione della pena rimanga sospesa per un termine di cinque anni – qualora la condanna riguardi un delitto – ovvero di due anni nel caso di contravvenzione.
Il Giudice, tuttavia, può subordinare la concessione di tale beneficio ad una attività risarcitoria o riparatoria da parte del condannato e, recentemente, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37503/22 hanno affrontato il problema se, in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all'adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l'imputato deve provvedere allo stesso, qualora non fissato in sentenza, coincida con la data del passaggio in giudicato della sentenza o con la scadenza del termine, di cinque o due anni, previsto dall'art. 163 c.p.
L'istituto della sospensione condizionale della pena, nella tradizione legislativa italiana trova il suo antecedente storico nella "condanna condizionale" introdotta nel nostro ordinamento nel 1904, la cui ratio, in parte coincidente con quella attuale, era diretta a contenere la dannosità dell'esecuzione delle pene detentive brevi nei confronti dei delinquenti primari per i quali fosse possibile formulare una prognosi di non recidiva.
Mantenuto nel codice penale del 1930, il beneficio della sospensione condizionale è oggi regolato dall'art. 165 c.p. che, nella sua originaria formulazione, ha previsto, al comma 1, che "la sospensione condizionale della pena può essere subordinata all'adempimento dell'obbligo delle restituzioni, al pagamento della somma liquidata a titolo di risarcimento del danno, o provvisoriamente assegnata sull'ammontare di esso, e alla pubblicazione della sentenza a titolo di riparazione del danno" e, al comma 2, che "il giudice, nella sentenza, stabilisce il termine, entro cui gli obblighi debbano essere adempiuti".
Avuto riguardo alle ripetute modifiche che hanno interessato l'art. 165 c.p., il termine che il Giudice deve fissare per l'adempimento degli obblighi è stato trasferito, restando immutato nella sua originaria formulazione, dal comma 2 al comma 6 dell'art. 165 c.p., fermo il principio, anch'esso immutato, espresso dall'art. 168 c.p., secondo il quale, tra l'altro, il beneficio della sospensione condizionale della pena deve essere revocato nel caso in cui, nei termini stabiliti, il condannato non adempia agli obblighi impostigli.
Tanto l'evoluzione storica dell'istituto (tutte le disposizioni, che si sono cronologicamente succedute, hanno previsto che il Giudice penale assegnasse al condannato un termine per l'adempimento) quanto l'interpretazione letterale della norma, depongono a favore della centralità del termine fissato per l’adempimento del risarcimento che diventa, quindi, un elemento essenziale della fattispecie tanto che, sul punto, nessuna facoltà discrezionale è attribuita al Giudice.
E la centralità del termine si coglie anche in relazione al fatto che, trattandosi di obblighi in grado di incidere sulla revoca del beneficio, essi, oltre ad essere concretamente esigibili, devono essere certi anche in ordine al tempo concesso all'obbligato affinchè possa ragionevolmente adempiervi.
Proprio in ragione di tale esigenza di certezza, con la pronuncia in esame, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno sancito che in caso di sospensione condizionale della pena subordinata all'adempimento di un obbligo risarcitorio, il termine entro il quale l'imputato deve provvedere allo stesso deve quindi essere comunque fissato da un Giudice, o il Giudice della sentenza ovvero, in mancanza, dal Giudice dell'impugnazione o da quello della esecuzione.
Solamente nel caso in cui detto termine non venga in nessun modo fissato da uno dei Giudici che nel corso del procedimento hanno avuto competenza sul fascicolo, il termine di adempimento può essere fatto coincidere con la scadenza dei termini di cinque o due anni previsti dall'art. 163 c.p.
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